di Maurizio Braucci
Prima di "Gomorra", già per i film "Terra di mezzo" e "L'imbalsamatore", Matteo Garrone aveva girato in altre aree difficili della Campania, mosso da una forte determinazione ad approfondire i mondi che intendeva raccontare. Con il film tratto dal bestseller di Roberto Saviano, Garrone ha continuato un metodo di lavorazione che gli è proprio, anche se questa volta con un progetto più complesso. La fase di preparazione di "Gomorra" è durata tre mesi ed è stata caratterizzata dalla ricerca di luoghi e dalla apertura di canali di connessione che permettessero di ambientare il film negli stessi territori raccontati dal romanzo. Nel quartiere Scampia ciò ha portato all'occupazione cinematografica, per quasi due mesi, di uno degli edifici delle Vele, quello giallo, senza però la consueta protezione delle forze dell'ordine.
Il successo di questo obiettivo estremamente realistico ha avuto varie ragioni, a partire da persone, cito qui il fotografo Mario Spada, i componenti dell'associazione "Chi rom... e chi no" e quelli del progetto teatrale Arrevuoto, che hanno mediato con gli abitanti. È vero che fino al giorno prima non sarebbe stato possibile, a causa della presenza delle piazze di spaccio, entrare in una delle Vele; così come è vero che dal giorno in cui è stato dato lì il primo ciak, quell'immenso e famigerato condominio si sia trasformato in qualcosa di sorprendente. Sono stati alcuni degli abitanti, compresi gli stessi spacciatori, ad accogliere Garrone e i suoi in cambio di un coinvolgimento come attori o come fornitori delle loro case per il set.
Certo, 30 anni di contraddizioni non le risolve un film, e se lo spaccio è comunque continuato "un po' più in là" durante le riprese, a un certo punto sono comparsi anche i boss camorristi, cioè quegli Scissionisti che avevano vinto la guerra contro i Di Lauro nel 2005 e che erano sulla bocca di tanti giovani del posto. "The scission" infatti era un suono ricorrente e la memoria di quella guerra costituiva un incubo o un mito per gli abitanti di Scampia, il film la raccontava e ognuno ha finito per metterci un pezzo della sua esperienza. All'inizio delle location si aveva timore a presentare il progetto con il nome di Saviano ma ben presto si è capito che quella cautela era inutile. Saviano a Scampia era sì criticato ma non odiato. Un giovane che aveva militato nel Sistema mi ha confessato che «Tanti camorristi si vantano di essere citati nel libro e poi lui il vero problema ce l'ha con i Casalesi». Alla vigilia delle riprese, quando i camorristi sono arrivati a informarsi, hanno ricevuto per filo e per segno il report della situazione, e semplicemente hanno ritenuto più conveniente lasciar fare, fino al punto che alcuni di loro venivano a curiosare sul set. Ci sono stati anche momenti di tensione, come quando nel lotto P, mentre si era pronti per girare, l'accesso venne improvvisamente interdetto dagli spacciatori. Oppure quando il salumiere a cui era stato chiesto il negozio come set, di fronte ad un cambio di programma del regista, protestò vivacemente e venne però minacciato da alcune comparse del film. Eppure, l'occupazione cinematografica di Scampia ha avuto tanti risvolti positivi, a partire dal fatto che la troupe ha potuto vedere quanta brava gente vi vivesse, in ostaggio di un degrado tollerato dalle istituzioni. I set in esterni erano sempre occasione di curiosità e di dibattiti, a volte accesi perché qualcuno riteneva di saperla più lunga di un altro; le frotte di bambini facevano da sfondo continuo e, spesso, la loro incontenibilità ha dovuto far ripetere qualche scena o è diventata il capro espiatorio del nervosismo degli adulti. Per questo gli operatori di "Chi rom.. e chi no" erano di continuo impegnati fuori dal set a organizzare giochi per loro. E, una volta, Giuseppe, otto anni, mentre aspettava che la troupe finisse di girare nell'appartamento dei suoi genitori, ha scritto sul muro "Io abito dentro un film". E in effetti, in quelle settimane la realtà e la finzione si confondevano. Daniela e Dalia, parrucchiera e truccatrice del set, durante le pause si ritrovavano spesso a rifare il look ai giovani delle Vele e, dall'abbondanza di chiacchiere, capivi quanto fosse prezioso rompere l'isolamento sociale in cui erano rinchiusi.
Anche le incomprensioni abbondavano: i tossicodipendenti, inconsapevoli, si infilavano spesso tra le comparse di una scena di spaccio. Una volta un attore ne dovette rincorrere uno per avvisarlo che aveva ricevuto del gesso e non della coca. Prima di girare la scena in cui i ragazzini rom guidano i Tir - cosa che hanno fatto per davvero, essendo degli autisti precoci - Garrone spiegò che Toni Servillo era il faccendiere che li pagava per fargli fare un trasporto di rifiuti tossici e, infatti, alla fine delle riprese, quelli volevano davvero andare da Servillo per avere i loro soldi. La scena alla foce del Volturno, dove Marco e Pisellino provano le armi, è stata caratterizzata da un incidente: la barca che esplode, infatti, lo fa al momento sbagliato, sorprendendo lo stesso attore che in quel momento stava sparando. Lo stupore che si vede sul suo volto è reale e, come qualcuno ha detto, è il simbolo di quello stupore con cui Garrone ha filmato il mondo di "Gomorra".
Oggi, a distanza di più di due anni dalle riprese, la Vela gialla è quasi del tutto disabitata e in uno stato di ulteriore degrado. Molte famiglie si sono trasferite nelle residenze affidate dal Comune, altre sono andate via. Il movimento di bambini non è più così vivace, ne rimangono pochissimi che quando fa caldo si aggirano in pannolini e senza scarpe per i corridoi immortalati dal film, arrampicandosi sulle ringhiere ad altezze vertiginose. L'associazione "Chi rom... e chi no " ha occupato un alloggio, trasformandolo in una ludoteca. Lo spazio ora è pieno di colori, ha un arredamento dipinto sui muri dai ragazzini e questi vi si aggirano come se fosse una casa dei sogni. Dalla Germania, dove hanno visto il film e scoperto il quartiere, tre giovani artisti si sono trasferiti a Scampia e stanno riempiendo di giganteschi disegni floreali le facciate delle Vele. Per il resto, all'interno dei lotti famigerati, nulla è cambiato, la povertà e la miseria umana sono rimaste le stesse.
(da l’Espresso 14 ottobre 2009)