un po' di storia...

chi rom e…chi no è un’associazione di promozione sociale che nasce a Scampia, periferia nord di Napoli, nel 2002.

Si è radicata nel territorio a partire dalla creazione di relazioni significative tra le comunità rom e italiana del quartiere e della città, attraverso interventi culturali e pedagogici, lavorando nella periferia intesa come luogo di sperimentazione e condivisione di buone pratiche.

Chi rom e…chi no progetta e realizza laboratori per i minori, gli adolescenti, le donne, nelle scuole, nel campo rom, nei rioni e negli spazi pubblici di Scampia per attivare concreti processi di cittadinanza e partecipazione ai percorsi di emancipazione sociale, personale e collettiva, per la trasformazione positiva di un intero territorio.

La storia dell’associazione inizia dalla autocostruzione di una baracca con gli abitanti del campo rom informale di Scampia, che è diventata spazio pubblico e culturale della città con l’obiettivo di combattere le discriminazioni, gli stereotipi, favorire la partecipazione attiva e critica degli abitanti, delle associazioni, delle istituzioni.

chi rom e...chi no, dopo anni di radicamento nel quartiere di Scampia, affronta un ambizioso quanto complesso progetto di consolidamento delle relazioni culturali, umane, emozionali, pedagogiche, interculturali e progettuali fin qui vissute, attraverso la scelta di creare un luogo simbolo di permanenza culturale e di cittadinanza aperto e condiviso.

Nello spazio comunale affidato all'associazione in comodato d’uso gratuito per sei anni, nel polifunzionale di Scampia, Comparto 12, Viale della Resistenza, sovrastante l’Auditorium, chi rom e…chi no ha come suo primo obiettivo la progettazione di un abitare collettivo per immaginare uno spazio culturale e sociale, luogo aperto ai bambini, alle famiglie, ai giovani, ai lavoratori,agli stranieri, italiani e rom, alla rete di associazioni del quartiere.

Affianchiamo al processo culturale, un processo di autosostenibilità e di innovazione sociale attraverso l’attivazione di una cucina interculturale e l’apertura di uno spazio di ristorazione diurno e serale gestito dalla Kumpania Impresa Sociale, la prima in Italia che coinvolge dieci donne rom e italiane.

La riorganizzazione degli spazi, la riqualificazione ed il recupero di una risorsa territoriale da sempre sottoutilizzata o addirittura in abbandono, la contiguità con l'Auditorium e con il grande parco di Scampia, diventano allora elementi costitutivi di una piattaforma d'intervento che si interroga sulle odierne prospettive di trasformazione dello spazio pubblico e sull'effettiva sostenibilità di processi socialmente rilevanti.

domenica 19 febbraio 2006

Viaggio nella memoria per...

Storie di ordinaria Scampia


Ripercorrere strade, luoghi, ricordi. Ricostruire memorie, pensieri, storie. Vivere il proprio quartiere, scoprirne la bellezza, sentirsi parte di esso, ritrovare una “normalità”. Un lavoro iniziato un anno fa, proposto ad un gruppo di adolescenti e alle scuole elementari e medie di Scampia; proposta accettata, discussa, rielaborata, ognuno con i propri strumenti e con la propria complessità. Il tentativo di uscire da se stessi e dall’immagine che ultimamente gli eventi e il mondo mediatico hanno imposto all’opinione pubblica, e contemporaneamente uno sforzo per ricollocarsi e ritrovarsi in un luogo che pare non avere una precisa identità, comunemente percepito come terra di nessuno, deserto urbano, scenario di macabre e inaudite violenze, mercato indisturbato della grande criminalità, all’ombra di una minacciosa e imponente edilizia popolare. Un viaggio, alla ricerca delle proprie radici passate e future, e per la trasformazione visiva ed emotiva di questo spazio vivo, vitale, vivido, che non è solo una periferia degradata, e che non esiste solo in quanto fonte inesauribile di osceni scoop televisivi. E le indagini, le inchieste sociali, le ricostruzioni, gli eventi, sono stati condotti e vissuti per una volta in prima persona da chi questo spazio lo abita, lo conosce, e prova a comprenderlo. La parola è passata da subito ai ragazzi, gli unici possibili artefici e protagonisti del proprio possibile e futuro cambiamento, in risposta a tutti i vani piani pseudo-educativi e assistenzialisti che la società e le istituzioni pubbliche si sforzano, talvolta, di applicare.

La scoperta dell’altro, ovvero storia di una passione comune
Scampia è divisa in rioni o lotti, anonimamente contrassegnati da lettere (Lotto A, G, S…), collegati da dispersivi stradoni che spesso non hanno un nome, e che non sono facili da percorrere a piedi (ma per andare dove poi), poiché la segnaletica è spesso inesistente. La vita di strada, così comunemente napoletana, si rinchiude e si contrae in questi isolotti, e non è favorita da alcuno spazio aggregativo (piazze, bar, mercati); gli unici punti di ritrovo sono, di fatto, le cosiddette agenzie territoriali o presidi istituzionali (chiesa, scuola) che di volta in volta rispondono a varie esigenze oltre a quella propria, e diventano così palestre, laboratori, sale polifunzionali. Per estendere le proprie relazioni sociali spesso bisogna spostarsi in altre zone della città, che tuttavia si possono raggiungere con autobus o grazie a una funzionale metropolitana. La mancanza di tali spazi vitali, é il frutto di un disegno urbanistico piuttosto limitato e poco attento, evidentemente, al bisogno tipicamente umano di relazionarsi con gli altri, ci si è concentrati solo sulla creazione di enormi edifici dormitorio, il resto è stato ritenuto superfluo.
Uno di questi rioni, un lotto, confina con un campo rom “abusivo”, che occupa un’area dimenticata dall’ establishment politico, ai margini della città, ma non troppo, sotto un’arteria stradale che dovrebbe mettere in comunicazione Napoli con l’hinterland, chiamata asse mediano, che però non è mai stata completata. L’insediamento risale a parecchi anni fa, e numerose famiglie vivono in condizioni che definire precarie sarebbe insufficiente per rendere l’idea della situazione: senza acqua, senza luce, senza servizi igienici. Baracche di nome e di fatto, circondate spesso da cumuli di spazzatura anche di produzione esterna, che l’impresa cittadina che si dedica alla rimozione di rifiuti, decide in maniera assolutamente arbitraria quando e se prelevare, e proprio recentemente solo dopo aver ottenuto un finanziamento straordinario di migliaia di euro. Eppure, come già detto, la zona non è del tutto invisibile e marginale, confina anche con una scuola elementare, oltre che con quel lotto.
E’ molto difficile però la comunicazione fra i due microcosmi, vicini di casa, sì, ma non necessariamente simili. Bambini, adolescenti, adulti, allo stesso modo, ma le diffidenze sono molte, e apparentemente anche le differenze. Certo differenza di abitazioni, gli uni nelle case, gli altri nelle baracche, gli uni con l’acqua calda, gli altri costretti a stratagemmi per avere l’elettricità, differenza di abitudini, di lingua, di abbigliamento…napoletani e rom, due culture a confronto, un confronto molto ravvicinato e quotidiano, che non sempre riesce a diventare incontro, i pregiudizi e la non conoscenza, si sa, rendono ciechi e ostili. Eppure, queste due comunità condividono lo stesso territorio, le stesse scuole, le stesse strade, gli stessi momenti difficili, la stessa storia, passata e presente. Sono entrambe comunità migranti: Scampia è un quartiere giovane, recente, alcuni abitanti provengono dalla Macedonia, dalla Serbia, altri dai quartieri del centro di Napoli, ma i ricordi di ognuno in questo luogo risalgono a un passato molto recente, e la costruzione di un’identità precisa è un processo tutt’ora in corso. Questo compito, è affidato ai giovani e giovanissimi, che invece sono nati a Scampia, rom e napoletani, che non corrispondono affatto, né si riconoscono, con i luoghi comuni con cui vengono bollati e inquadrati.
Un gruppo di adolescenti del campo rom e del lotto confinante, insieme, hanno dato vita a un percorso di vera e propria cittadinanza attiva, dimostrando di poter ribaltare la situazione e riuscendo a stabilire relazioni durature e profonde. Prima non si conoscevano molto, forse non avrebbero mai pensato di trascorrere intere giornate insieme, di scambiarsi opinioni; i napoletani non avrebbero mai pensato di poter andare a trovare i loro coetanei nelle loro baracche, di visitare le loro case, di intervistare i nonni e le madri, di rendersi conto che se non si lavano molto è perché l’acqua corrente non è sempre un diritto di tutti, di riconoscersi negli atteggiamenti e nelle paure, comuni a tutti gli adolescenti, anche se questi (sia i napoletani che i rom) crescono piuttosto in fretta. E d’altra parte, di uscire dal quel lotto, incastrato in buona parte dai movimenti dello spaccio di droga, viavai di tossicodipendenti, di sfidare le strade anonime del quartiere, tutti insieme, per fare passeggiate che in altri zone sono del tutto normali, e che anche qui possono e devono esserlo. Macchine fotografiche e videocamere alla mano, hanno esplorato il territorio, il loro territorio, riappropriandosene, scoprendo punti, angoli, panorami, una natura rigogliosa, e il piacere di percorrere questi spazi e di descriverli con strumenti creativi eppure semplici. Un’inquadratura, un’angolazione, un soggetto o vari, uno sfondo, e ripetuti e molteplici scatti e riprese, un apprendimento graduale ma molto istintivo e quasi naturale. Pensare a un’immagine e vederla poi stampata e dunque concreta, riconoscersi, imbarazzarsi ma poi un po’ vantarsi del proprio inaspettato lavoro, che racconta dall’interno e con cognizione di causa ciò che ogni giorno si sfiora appena con lo sguardo. E di nuovo gradualmente ma naturalmente, durante questi incontri, la scoperta di una passione comune, portata avanti in maniera differente, ma con uguale entusiasmo: la danza, il ballo, espressione corporea irrefrenabile, impulsiva, quotidiana. Nel lotto, uno dei ragazzi, da un po’ di tempo organizza e gestisce una scuola di ballo in uno spazio “arrangiato” ma fornito delle cose essenziali: stereo, casse, musica latinoamericana e uno specchio. La scuola è rivolta a una marea di piccoli allievi che il giovane maestro segue con dedizione, curando tutti i minimi particolari, ricambiato dalla loro continuità e ammirazione. Un’altra ragazza, a volte è presente, ma segue in altri modi la sua vocazione. Nel campo rom, i ragazzi si esercitano preferendo la break-dance e l’hip hop, le ragazze le loro musiche arabeggianti. Si sono incontrati su queste basi, hanno lavorato sulle differenze e sulle somiglianze, alcuni hanno appreso passi nuovi da altri, hanno provato e riprovato in strada, nella villa comunale, in un centro sociale poco distante, e insieme hanno dato vita a vari spettacoli rivolti al quartiere, alle loro famiglie, alla città. Per tre giorni, durante una mostra del loro lavoro di un anno, le fotografie e il video-documentario, in una villa comunale finalmente piena, viva, grande contenitore e spazio espositivo anche delle 35 grandi cartine del quartiere su cui hanno lavorato le sette scuole di Scampia. In un clima di pace ed entusiasmo, si sono esibiti in danze emozionanti, e hanno riunito gli abitanti del quartiere, rom e napoletani, fianco a fianco, che hanno vissuto momenti di gioia, di divertimento, momenti straordinari, ma che si costruiscono giorno per giorno, e che racchiudono storie di ordinaria e quotidiana lotta umana per una vita dignitosa ma anche tremendamente esplosiva ed emozionante.

giovedì 19 gennaio 2006

La colonia

La colonia a Marechiaro, esperienza d’estate assolata di sorrisi al colore di laboratori di libera espressione, in costante divenire, giù per una stradina chiusa ai mortali.. venti bambini, micro o più grandicelli tra rom e napoletani.. poi un cancelletto.. aperto..
cominciano a scendere due culture su scale fatte di foglie e desideri.. vicini o irrequieti i piedi coprono il sentiero giallo tufo.. chiara o bruna la pelle degli avventurieri scorge a metà percorso una composta staccionata.. ci accoglie un mulo.. custode silenzioso del piccolo regno del rispetto, in cui ogni movimento è natura, ogni natura è dono, ogni dono è scambio di emozioni che portano al mare, meta quotidiana al profumo di sale.. contornata da un teatrino di rovine antiche la nostra oasi lascia ammirarsi da limpidi sguardi e accarezzarsi da fiducia nuotata.. qualche ora.. una sbirciata alla grotta minuta e poi via.. un quarto dei pezzi del puzzle vivente si avvia in risalita, con aria nascosta di chi va a costruire una sorpresa.. non ci si voglia scordare del degno saluto da rendere al buffo custode dalle alte orecchie a punta.. ma in fretta però, il dovere di dar piacere ai commensali è forte.. il pranzo sarà in tavola tra mezz’ora.. serve apparecchiare.. basta raccogliere lungo il ritorno qualcosa che si guadagni il consenso emotivo dell’allegra spedizione.. da riportare come dopo un prestito.. la cucina ci aspetta.. nella stanza più avanti è accomodata un’officina della creatività.. un tavolone centrale per poter lavorare guardandosi.. alle spalle tutto l’occorrente.. e se non c’è lo si inventa: si mettono in pratica gli ecoritrovamenti affiatati.. ed ecco che sui tavolini da pranzo arrivano le tovagliette contaminate da oggetti di natura.. pietre e sassolini vivaci, cortecce d’alberi che soffrono il caldo e cambiano pelle, rametti e fiorellini attendono gli altri bagnanti per accoglierli con un regalino “fatto da noi!”: espressione personalizzata consapevole.. e domani a chi toccherà?.. chissà.. lo decideremo insieme non prima di aver raccolto energie imbandite. Al pomeriggio, lungi dal preservarsi da una floscia fase digestiva (salvo che per bioritmiche ragioni sonnolente) è gioco libero.. “più in là c’è un parco giochi chiuso, m’hanno detto”, presto fatto.. non sarà mica una vecchia ringhiera squarciata a farci credere che questo posto è morto?!? su con la vita.. il tutto comincia a muoversi tra fruscii e cigolii ferrosi, i bambini sono l’ossigeno di questo luogo abbandonato.. qui si rinasce.. e poi ancora prato.. su cui sedere a parlarsi con le mani in azione.. disegni sparsi tra una comitiva e l’altra.. segni pennellati da contatti con l’altro.. c’è tanto da esplorare.. il lavoro è lungo quanto grandioso.. la vicinanza dei corpi favorisce brevi scontri interculturali.. poi incontri abbracciati.. siamo tutti sulla stessa barca.. i ragazzi lo sanno bene.. e i pregiudizi servono soltanto a ledere la libertà d’essere.. tanti sono i sapori umani da assaggiare.. e il palato non è solo un nucleo di papille ma anche veicolo esclusivo di corde vocali da strimpellare al ritmo di relazioni.. sempre più armoniose.. coltivate nel tempo come fiori dolcificano il rispetto reciproco e germogliano un reale mettersi-in-gioco tanto caro e facile alle tenere età.. i brutti pensieri, sfiducie e mancate speranze sono indotti da una realtà molto meno facile da vivere.. siamo sulla stessa nave.. e il mare si lascia scorgere fino a un certo punto.. così dalla cooperativa manipolazione di un cilindro alto il doppio di un cappello e guarnito a un lato da materiale impermeabile nasce un oggetto magico d’inimmaginabile potenza.. offrirgli omaggio con un nome all’altezza e d’obbligo: il Marescopio.. un portale trasportabile che unisce l’elemento aria a quello acqua, senza escludere la vista a noi creature terrene.. basta che la parte trasparente di Quello sia appoggiata su uno squarcio di mare desiderato e che una minuscola testa vi cali dentro gli occhi.. e spiare il fondo di sassi dai peli solleticanti.. e la paura del buio è annullata da ciò per cui la fantastica Forma ha motivo d’esistere.. la conoscenza.. unica maestra che permette un contatto con l’esistente.. dalla dinamica consistenza della natura al geniale incastro di bambini e adulti con essa, fino alla profonda calata in noi.. niente è statico.. muoviamoci ché sono pronte le vivande serali.. c’è da recuperare un po’ di forze.. il salone rimbombante al fianco della cena attende di riempirsi con un gran cerchio umano, seduto in terra con le gambe incrociate a prepararsi per un riscontro-ritorno verbale sulla natura della giornata passata.. l’energia è ancora tanta.. non è facile star fermi.. ma c’è da parlare di sensazioni, scontenti e meraviglie del giorno.. intelligenza emotiva: ripercorrersi in ogni propria azione motivata da respiri del momento, rivedere le posizioni e le scelte agite al sole.. e le relazioni gestite tra conflitti sinceri e mediazioni coscienti, invasioni di luoghi e condivisioni di spazi.. alziamoci.. la cena.. il buio incombe e il piccolo anfiteatro di cemento all’esterno dell’area “vitto&alloggio” desidera una compagnia di cantastorie che musica le fasi crescenti della luna.. sarà splendidamente piena fra qualche giorno.. non ci resta che invocarla e poi.. tutti a nanna, ognuno nella propria stanza da sei freschi letti.. è tardi.. di attimi genuini ce n’è ancora, da vivere parlare tastare.. sogni d’oro riposati, ché al mattino dal terzo piano dormiente ci si sveglierà al suono di un deedjeredoo.. uditivo preannuncio ad un inspirato saluto al sole.. troppo ferme sono state le membra durante la notte.. è tempo di attività.. la colazione sarà in tavola.. il mare giù nell’angolo.. domani si scenderà a sud.